L'epilessia, una malattia di cui si parla poco, eppure furono molti i personaggi che convissero con questa malattia, ne riportiamo alcuni nomi: Budda, Napoleone, Pio XI, Alessandro Magno, Francesco Petrarca, Giacomo Leopardi e tanti altri.
Ma che cosa è l'epilessia e soprattutto come ci si sente una persona che deve convivere con questa malattia?
Abbiamo nei giorni scorsi incontrato una ragazza di cui per rispetto della privacy metterò solo le iniziali del suo nome e cognome.
V.R. ha 29 anni e ha risposto ad alcune nostre domande.
D: "Buongiorno e grazie per questa intervista che ci hai concesso. Partiamo dalla tua infanzia, come l'hai vissuta?".
R: "Buongiorno e grazie a te. Ho avuto un'infanzia semplice e spensierata come è giusto che sia per tutti i bambini, fra scuola, amici e cartoni animati".
D: "Poi sei cresciuta. Diciamo che sei entrata nel periodo dell'adolescenza. Qualcosa è cambiato. La tua vita è cambiata. Cosa è successo?".
R: "E' successo che a 12 anni ho scoperto di avere una lieve forma di epilessia che all'epoca mi portò ad uno stato di incoscienza e da allora ho avuto crisi epilettiche solo al braccio sinistro. Quindi come si può ben immaginare la mia adolescenza è stata parecchio turbolenta".
D: "Certamente, posso ben immaginare, non sarà stato facile per te accettare questa malattia. Quale era il tuo stato d'animo e ne hai mai parlato con qualcuno della tua malattia?".
R: "Ho sempre parlato a poche persone della mia patologia poiché avevo timore della loro reazione.
Non è una cosa facile spiegare il proprio stato d'animo, parlare della propria malattia che nonostante fosse di lieve entità mi portava a sentirmi 'diversa' o meglio ancora 'inferiore' rispetto agli altri.
Vedevo questa patologia come un macigno, una cosa ingiusta che non potevo evitare e che stava in un certo qual modo stravolgendo la mia vita".
D: "Poi crescendo cosa è cambiato?".
R: "Crescendo ho fatto di tutto per essere considerata 'normale'. Ero consapevole di essere fortunata perché nonostante fossi epilettica potevo vivere una vita normale, potevo studiare e soprattutto avevo una famiglia che mi sosteneva. Tutto ciò però non mi bastava".
D: "E allora cosa hai fatto?".
R: "Ho cominciato ad inseguire diversi idoli per accettarmi ed essere accettata. Mi sono laureata in lingue non solo per una soddisfazione particolare ma anche per dimostrare agli altri ed a me stessa che anche una come me per così dire 'imperfetta' o meglio 'epilettica' potesse laurearsi.
Ho poi iniziato a fare volontariato in diverse associazioni ma non perché volessi realmente aiutare gli altri ma perché vedere altre persone che in un certo qual modo erano più sfortunate di me mi faceva stare meglio e mi consolava dal dolore che provavo a causa della mia patologia che ho ancora oggi".
D: "Quale è stato il rapporto con il tuo corpo?".
R: "Per molto tempo ho disprezzato me stessa e in particolar modo il mio corpo 'imperfetto' ed 'epilettico' che ho finito per odiare totalmente quando pochi anni fa mi venne certificato che ho una disabilità parziale. Non ero più solo epilettica ma addirittura disabile e ciò mi ha fatto sentire una 'persona da buttare' per anni, una persona che non poteva essere amata da nessuno. Chi mai avrebbe amato una ragazza epilettica e peggio ancora una disabile parziale?".
D: "Oggi sei una donna che ha accettato di vivere con questa malattia. Molte volte si parla della fede. La fede che aiuta, la fede che salva. Ecco quale è stato il tuo rapporto con la fede?".
R: "La fede mi ha aiutato tanto ad accettare la mia epilessia. So bene che molti possono essere scettici su tale argomento ma da quando ho intrapreso un cammino di fede le cose sono migliorate.
Non ho sempre avuto fede in Dio, anzi l'ho odiato per anni anche perché mi sembrava indifferente alla mia sofferenza ma non era così. Ora so che per me e per chiunque vi è un Dio che ci ama nonostante le nostre imperfezioni e che se mi ha dato un braccio epilettico vi era un motivo.
Capii che quel braccio doveva essere causa di gioia per gli altri e non di sofferenza.
Mi accorsi che la mia vera disabilità non era nel braccio ma nel cuore perché fino ad allora non sapevo amare e quel braccio mi insegnò questo, mi insegnò ad amare e ad aiutare gli altri.
Oggi non sarei la persona che sono se non fosse stato per l'epilessia, molto probabilmente sarei meno empatica al dolore altrui, più egoista e superba".
D: "Quindi l'epilessia può essere un dono di Dio?".
R: "Si, certo. Può esserlo perché è proprio nelle nostre fragilità che avvengono i miracoli. Nella croce che portiamo non vi è solo dolore ma bensì anche un'occasione per imparare ad amare.
Non dobbiamo dimenticare che dopo la croce vi è sempre una risurrezione".
D: "Perché hai deciso di raccontare la tua storia? Quale è il messaggio che vorresti lanciare?".
R: "Ho deciso di raccontare la mia storia perché credo che si dovrebbe parlare di più dell'epilessia.
Epilessia non vuol dire diversità. E poi il messaggio che vorrei lanciare è quello di non disperare mai perché in ogni situazione buia vi è sempre uno spiraglio di luce, basta solo trovarlo.
Spesso le vere paralisi non sono quelle fisiche ma quelle del cuore".
Ma che cosa è l'epilessia e soprattutto come ci si sente una persona che deve convivere con questa malattia?
Abbiamo nei giorni scorsi incontrato una ragazza di cui per rispetto della privacy metterò solo le iniziali del suo nome e cognome.
V.R. ha 29 anni e ha risposto ad alcune nostre domande.
D: "Buongiorno e grazie per questa intervista che ci hai concesso. Partiamo dalla tua infanzia, come l'hai vissuta?".
R: "Buongiorno e grazie a te. Ho avuto un'infanzia semplice e spensierata come è giusto che sia per tutti i bambini, fra scuola, amici e cartoni animati".
D: "Poi sei cresciuta. Diciamo che sei entrata nel periodo dell'adolescenza. Qualcosa è cambiato. La tua vita è cambiata. Cosa è successo?".
R: "E' successo che a 12 anni ho scoperto di avere una lieve forma di epilessia che all'epoca mi portò ad uno stato di incoscienza e da allora ho avuto crisi epilettiche solo al braccio sinistro. Quindi come si può ben immaginare la mia adolescenza è stata parecchio turbolenta".
D: "Certamente, posso ben immaginare, non sarà stato facile per te accettare questa malattia. Quale era il tuo stato d'animo e ne hai mai parlato con qualcuno della tua malattia?".
R: "Ho sempre parlato a poche persone della mia patologia poiché avevo timore della loro reazione.
Non è una cosa facile spiegare il proprio stato d'animo, parlare della propria malattia che nonostante fosse di lieve entità mi portava a sentirmi 'diversa' o meglio ancora 'inferiore' rispetto agli altri.
Vedevo questa patologia come un macigno, una cosa ingiusta che non potevo evitare e che stava in un certo qual modo stravolgendo la mia vita".
D: "Poi crescendo cosa è cambiato?".
R: "Crescendo ho fatto di tutto per essere considerata 'normale'. Ero consapevole di essere fortunata perché nonostante fossi epilettica potevo vivere una vita normale, potevo studiare e soprattutto avevo una famiglia che mi sosteneva. Tutto ciò però non mi bastava".
D: "E allora cosa hai fatto?".
R: "Ho cominciato ad inseguire diversi idoli per accettarmi ed essere accettata. Mi sono laureata in lingue non solo per una soddisfazione particolare ma anche per dimostrare agli altri ed a me stessa che anche una come me per così dire 'imperfetta' o meglio 'epilettica' potesse laurearsi.
Ho poi iniziato a fare volontariato in diverse associazioni ma non perché volessi realmente aiutare gli altri ma perché vedere altre persone che in un certo qual modo erano più sfortunate di me mi faceva stare meglio e mi consolava dal dolore che provavo a causa della mia patologia che ho ancora oggi".
D: "Quale è stato il rapporto con il tuo corpo?".
R: "Per molto tempo ho disprezzato me stessa e in particolar modo il mio corpo 'imperfetto' ed 'epilettico' che ho finito per odiare totalmente quando pochi anni fa mi venne certificato che ho una disabilità parziale. Non ero più solo epilettica ma addirittura disabile e ciò mi ha fatto sentire una 'persona da buttare' per anni, una persona che non poteva essere amata da nessuno. Chi mai avrebbe amato una ragazza epilettica e peggio ancora una disabile parziale?".
D: "Oggi sei una donna che ha accettato di vivere con questa malattia. Molte volte si parla della fede. La fede che aiuta, la fede che salva. Ecco quale è stato il tuo rapporto con la fede?".
R: "La fede mi ha aiutato tanto ad accettare la mia epilessia. So bene che molti possono essere scettici su tale argomento ma da quando ho intrapreso un cammino di fede le cose sono migliorate.
Non ho sempre avuto fede in Dio, anzi l'ho odiato per anni anche perché mi sembrava indifferente alla mia sofferenza ma non era così. Ora so che per me e per chiunque vi è un Dio che ci ama nonostante le nostre imperfezioni e che se mi ha dato un braccio epilettico vi era un motivo.
Capii che quel braccio doveva essere causa di gioia per gli altri e non di sofferenza.
Mi accorsi che la mia vera disabilità non era nel braccio ma nel cuore perché fino ad allora non sapevo amare e quel braccio mi insegnò questo, mi insegnò ad amare e ad aiutare gli altri.
Oggi non sarei la persona che sono se non fosse stato per l'epilessia, molto probabilmente sarei meno empatica al dolore altrui, più egoista e superba".
D: "Quindi l'epilessia può essere un dono di Dio?".
R: "Si, certo. Può esserlo perché è proprio nelle nostre fragilità che avvengono i miracoli. Nella croce che portiamo non vi è solo dolore ma bensì anche un'occasione per imparare ad amare.
Non dobbiamo dimenticare che dopo la croce vi è sempre una risurrezione".
D: "Perché hai deciso di raccontare la tua storia? Quale è il messaggio che vorresti lanciare?".
R: "Ho deciso di raccontare la mia storia perché credo che si dovrebbe parlare di più dell'epilessia.
Epilessia non vuol dire diversità. E poi il messaggio che vorrei lanciare è quello di non disperare mai perché in ogni situazione buia vi è sempre uno spiraglio di luce, basta solo trovarlo.
Spesso le vere paralisi non sono quelle fisiche ma quelle del cuore".
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